Vi è mai successo di sentirvi inutili o poco necessari? Ci capita spesso, nel corso della vita, di avvertire una sensazione che ci risulta sgradevole e che ci risveglia una corrispondente reazione a livello emotivo, caratterizzata da disorientamento, demotivazione e mancato riconoscimento in noi stessi.
Di fronte a questo, può succedere di reagire “arrendendosi” o, meglio ancora, di “non reagire” perché non più in grado di trovare quella forza interiore necessaria a scoprire cosa stia realmente accadendo dentro di noi. Si perde il contatto con la propria realtà e non ci si sente abbastanza capaci di andare avanti, abbastanza bravi nel provarci e abbastanza in grado di risollevarsi. Si sperimenta una nuova identità fatta di “valgo poco” o, addirittura, di “sono inutile”.
Nel corso della vita questo vissuto è molto frequente, specialmente, nei periodi più stressanti o in quelli più tristi ed è caratterizzato da un dolore e una sofferenza con una durata, una gravità e un’intensità, generalmente, limitata. In alcune persone, invece, tale vissuto perdura più del dovuto, diventando un tratto specifico della loro vita, del loro carattere e della loro quotidianità.
È il caso, ad esempio, del giovane venticinquenne che, appena finita l’università, si ritrova in una realtà lavorativa diversa da quella in cui sperava, in uno stato di disoccupazione che lo affligge o all’interno di un vortice quotidiano fatto di frasi inaccettabili come “Prima o poi arriverà il tuo momento”, “in futuro andrà meglio”, “non si può sempre star male”, “la tempesta passerà”. Incoraggiamenti troppo deboli per poter sconfiggere quella convinzione che ormai si è profondamente radicata in lui: l’idea di non riuscire ad essere mai apprezzato da nessuno o, peggio ancora, di non diventare mai “qualcuno”.
È il caso, anche, di chi si trova a fronteggiare una malattia invalidante dei propri genitori. Osservare questi ultimi soffrire e aggravarsi sempre di più, senza potere migliorare le loro condizioni fisiche, può portare a sperimentare stati d’impotenza e inutilità. Si vivono profondi sensi di colpa, emozioni di rabbia verso se stessi, sentimenti d’impotenza e vuoto interiore. Ci si sente spiazzati, completamente inermi e incapaci di gestire questa miscela emotiva. Ancora una volta inutili!
Anche l’uomo neo-pensionato, abituato a una sua routine di vita, potrebbe rientrare in quanto fino ad ora descritto. La richiesta di ridefinirsi in un’altra fascia d’età non è, infatti, un procedimento semplice e immediato, in quanto può essere associata a smarrimento, turbamento e frustrazione. L’uomo, prima abituato ad utilizzare e mostrare le sue competenze e conoscenze in campo lavorativo, potrebbe, ora che è in pensione, sentirsi di poco aiuto per gli altri e poco necessario a se stesso.
Come uscire, allora, da tutte queste situazioni?
Concedendosi del tempo per ridefinirsi, per accettare un cambiamento imminente o futuro, per impostare nuovi obiettivi, per conoscersi nel profondo e soprattutto per darsi modo di sperimentare il dolore. Acquisire la libertà di gestire il dolore in modo consapevole, influire sulla misura in cui quest’ultimo può colpire, coinvolgere e far soffrire, permette di contrapporre alla sempre presente vulnerabilità: consapevolezza e responsabilità, amore in sé stessi e guarigione.
DOTT.SSA GIULIA MERLI
PSICOLOGA